Un grande Campione e un Grande Capitano. Romamor lo ricorda così. Ciao Ago.
Premetto che tutto quello che scrivo in questa pagina nel ricordo di Agostino Di Bartolomei, non sarà mai abbastanza. Non spiegherà mai quello che Ago è stato per me e per quelli della mia generazione, cresciuti con Lui prima ancora che con il suo mito. Mi scuso quindi fin da queste prime righe, con Ago innanzitutto e poi con quelli a cui non sarò riuscito a trasmettere le sensazioni che avrei voluto. Agostino è stato più di un calciatore, più di un capitano. Per chi come me è cresciuto con la Roma negli anni ’70 e ’80, lui rappresentava un simbolo, un'icona, un faro nel buio di quei tempi in cui per noi il calcio era puro e autentico, con la nostra visione di ragazzini ancora inconsapevoli dello schifo e del malaffare che da sempre ruota intorno a quel mondo. Oggi, ripensando alla sua figura, possiamo dire che Ago non era solo il cuore e il cervello di quella Roma, ma per quelli come me ne era soprattutto l’anima. Per noi che anni dopo ci siamo ritrovati nelle parole di "Mai sola mai" di Marco Conidi: "Ricordo che quand'ero ragazzino, sognavo d'essere Agostino".
Nato a Roma e cresciuto come tanti nei campetti di periferia, fin da subito era parso chiaro che Agostino rispetto agli altri ragazzini aveva qualcosa di speciale. Il suo modo di stare in campo, così elegante e al tempo stesso concreto, sembrava quasi andare contro l’immagine del calcio ruvido e passionale di quegli anni. Non era appariscente, non era il classico campione che attirava l’attenzione con giocate spettacolari, ma sapeva sempre cosa fare, per essere al posto giusto nel momento giusto. Dotato di una mente lucida e di una visione di gioco che sembrava anticipare pensieri e mosse degli avversari, oltre a un piede destro alla dinamite. Dalla "Chiesoletta - oratorio San Filippo Neri" alla Garbatella, passando per l'OMI a Tor Marancia, a quell'epoca una delle realtà più importanti del calcio dilettantistico romano, fino ad arrivare alle giovanili della Roma, dove entrò da ragazzino facendosi subito notare. Non era facile emergere in una città come Roma, dove la pressione e le aspettative erano (esattamente come ora) soffocanti, ma lui, con il suo carattere tranquillo e riservato, si fece strada. E furono proprio quella tranquillità e quella compostezza, a renderlo poi leader imprescindibile in campo e nello spogliatoio.
Agostino Di Bartolomei, "Diba" o meglio "Ago", come lo chiamavamo noi, è diventato capitano della Roma in uno dei momenti più entusiasmanti della nostra storia. Gli anni ’80 erano iniziati sotto i migliori auspici: l’arrivo di Nils Liedholm in panchina, un gruppo pronto per diventare grande, e Agostino lì, a guidare quella rinascita. Era il metronomo di quella squadra: dal centro della difesa o a centrocampo, dettava i tempi, gestiva ogni azione, calcolava ogni passaggio come se avesse in mente uno schema perfetto che solo lui poteva vedere. Dopo un paio di coppe Italia vinte (1979/80, 1980/81) e soprattutto un campionato rubatoci col gol regolare ingiustamente annullato a Turone, nel 1983 la Roma vince il suo secondo scudetto. Un percorso fantastico, dove ogni domenica era una festa, uno spettacolo di calcio. E lì, nel cuore di quella squadra che faceva sognare l’intera città, c’era sempre lui, il Capitano silenzioso, sguardo serio e concentrato. Non faceva mai trapelare le sue emozioni in campo, anche quando noi tifosi cantavamo il suo nome. Ma tutti sapevamo cosa significava per lui quella maglia e quella fascia. Lo sapevamo dal modo in cui lottava per ogni pallone, con la calma e la forza di un comandante che conosce il mare in tempesta e le sue insidie, ma che alla fine porterà la sua nave in porto e "con il vessillo" (cit.)
Agostino, eterno Capitano
Nel tuo quartiere hai mosso i primi passi,
tra polvere e sogni di un campo vicino,
con la maglia sul cuore e il vento nei capelli,
sei diventato il nostro destino.
Ogni domenica, su quel prato immenso,
il tuo sguardo parlava, anche senza parole,
un leader silenzioso, profondo e intenso,
ci guidavi con amore e mai con furore.
Ricordo il tuo rigore, quella notte d’onore,
l'Olimpico pieno, un sogno sfumato,
ma tu restavi il nostro grande signore,
anche nel buio, un faro mai abbandonato.
Ora sei leggenda, un mito tra noi,
nei cori e nei canti risuona il tuo nome,
ovunque andremo, sarai sempre eroe,
Ago, Il Capitano per noi sempre sarai.
E mentre cantiamo, il tuo spirito arde,
tra i colori che accendono il cielo di fiamme,
perché Roma è fuoco che mai si spegne,
Forza la Roma, con Ago sempre!
Sandro
Il sogno infranto
Il momento che più rimarrà impresso nella memoria di chi ebbe la fortuna di viverlo, fu la finale di Coppa dei Campioni del 1984 contro il Liverpool, giocata e persa all'Olimpico. Fortuna sì, perché giocarsi una finale del torneo continentale più importante e prestigioso, è un qualcosa che il destino riserva solo a pochi eletti. Tra chi la gioca e chi invece la vede giocare, c'è una bella differenza e va sempre ricordato agli "sbadati".
Quel 30 maggio 1984 poteva essere il completamento dell'opera, il coronamento di un sogno per noi tifosi, una partita che avrebbe potuto consacrare la nostra Roma sul tetto d’Europa. E Agostino, come sempre, era lì, pronto a guidarci verso la gloria. Ma quella partita, pareggiata sul campo, finì con una sconfitta ai rigori e segnò di fatto la più grande delusione della nostra storia. Agostino trasformò il suo rigore con la solita freddezza, ma non tutti i rigoristi fecero lo stesso e la storia non andò come avremmo voluto. Perdemmo quella coppa, e con lei il nostro sogno più grande.
Anche per Ago, ovviamente, fu un colpo durissimo. Lui, che aveva sempre dato tutto per quella maglia, che l'aveva portata così vicino al trionfo, vide svanire tutto in un attimo. Dopo quella finale il suo rapporto con la Roma si incrinò. Il nostro Capitano fu ceduto al Milan nella stagione successiva 1984-85, ma dopo aver alzato al cielo con la sua Roma un'altra coppa Italia (1983-84). Per noi tifosi fu uno shock. Non potevamo immaginare una Roma senza Agostino. Ma il calcio, come la vita, sa essere crudele, e Agostino lasciò Roma senza fare troppo rumore, come sempre, in silenzio.
Un eroe triste
Dopo aver lasciato la Roma, Agostino giocò tre stagioni al Milan, una al Cesena e poi due alla Salernitana dove concluse la sua carriera. Giocò ancora a calcio, calcando l'erba dei campi di serie A e serie B, ma la sua anima era rimasta lì, su quel prato dell’Olimpico, dove quella sera aveva visto infrangersi i suoi e i nostri sogni. In molti abbiamo sempre pensato che quella finale persa, la sua successiva partenza, gli anni lontano dalla sua città e soprattutto il vedersi negare un rientro nella Sua Roma, ovviamente con altri compiti, siano state ferite troppo profonde da sanare. Lui era uno di noi, un romanista vero, e quel distacco fu per lui una ferita al cuore e forse il vero motivo del suo gesto definitivo.
La mattina del 30 maggio 1994, dieci anni esatti dopo quella maledetta notte contro il Liverpool, Agostino decise di togliersi la vita, sparandosi dritto nel cuore con la sua Smith & Wesson e ponendo fine alla sua esistenza tormentata. L'intero mondo del calcio, ma noi tifosi soprattutto, fummo travolti da una notizia che ci lasciò senza parole. Agostino, il Capitano silenzioso, quello che non aveva mai dato segni di debolezza, aveva rinunciato a vivere e se ne era andato in silenzio, come aveva sempre vissuto. I motivi di quel gesto estremo sono ancora oggi oggetto di discussione, ma chi lo conosceva bene, sapeva che dietro quella decisione c’era una profonda sofferenza, una sensazione di abbandono e solitudine.
ADDIO CAMPIONE... ADDIO MIO CAPITANO Era il 30 maggio 1994, a 10 anni esatti da "quel" 30 maggio, quello della maledetta finale persa ai rigori. Quel giorno invece perdemmo te... il nostro Capitano. Il primo per me, che per età ho conosciuto e amato quella che era la tua, la mia Roma. Il 30 maggio, un giorno, un ricordo, che forse hai voluto renderci ancor più indelebile, mio Capitano. Un giorno che ricorderemo e che terremo per sempre tra i più brutti della nostra storia.
Ciao Capitano. Riposa in pace Ago... mio Capitano.
24 FEBBRAIO 2012 -
L'AS Roma inaugura il nuovo campo del centro Fulvio Bernardini di Trigoria.
A 18 anni dalla tragica scomparsa di Agostino Di Bartolomei, l'AS Roma, in estate passata dalla famiglia Sensi alla proprietà americana, decide di rendere omaggio al nostro indimenticato Campione e Capitano, intitolando a lui il nuovo campo di gioco in sintetico del Fulvio Bernardini. Da oggi in poi, il campo A del centro sportivo dell'AS Roma, sarà il Campo Agostino Di Bartolomei. Un gesto bellissimo, per noi doveroso, nei confronti di una grande Bandiera giallorossa e di chi lo ha conosciuto, vissuto nei suoi anni di Roma, amato per quello che è stato ieri, quello che è oggi e quello che continuerà ad essere domani.
Bentornato Ago, bentornato a casa tua.
IL MANUALE DEL CALCIO
Conoscere e rispettare le regole del calcio è il primo passo per imparare ad essere un "buon calciatore, uno sportivo corretto ed una persona leale". Il secondo è capire che nel calcio si vince insieme e "aiutarsi è il primo dovere di tutti, dentro e fuori dal campo, sempre". Poi sono doverosi il rispetto degli avversari e degli arbitri, è importante avere cura del proprio corpo in tutti gli ambiti, è decisivo ricordarsi che la parola d'ordine nel calcio è (o dovrebbe essere) "semplicità". Dagli appunti di Agostino, suo figlio Luca ha realizzato un manuale ricco di consigli, spunti e riflessioni.
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QUI SOTTO INVECE, ALCUNI DEI LIBRI SCRITTI SU AGOSTINO.
Il ricordo e l'eredità di Agostino
A 30 anni da quel tragico giorno, la Roma ricorda il nostro Capitano con un torneo giovanile a lui dedicato e interamente disputato sul Campo Agostino Di Bartolomei presso il Centro Sportivo Fulvio Bernardini di Trigoria. Un giusto tributo ad Agostino, che non è stato solo il simbolo di una Roma vincente, ma un'icona che ha rappresentato e rappresenterà sempre l’identità e il sentimento romanista. "Ieri, oggi, sempre". Queste sono state le parole che hanno accompagnato il ricordo di Ago anche questa volta, per quello che non è stato un semplice torneo giovanile, ma un’esperienza di calcio come Agostino credeva dovesse essere vissuta: con impegno, rispetto dell’avversario e passione.
Oggi, quando entro allo stadio e guardo la Curva Sud, spesso ripenso a quei tempi e ovviamente a lui. Non c’era partita in cui il suo nome non veniva cantato: "Oh Agostino, Ago Ago Ago Agostino gol", un coro che risuona e risuonerà ancora forte, oggi e per l'eternità, perché Lui vive ancora e vivrà nei nostri ricordi, nei racconti dei padri ai figli, nei video sgranati di quegli anni gloriosi e nei libri scritti da chi l'ha vissuto o da chi ne ha solo sentito parlare e di Lui si è innamorato. Agostino Di Bartolomei è stato e resterà per sempre l’incarnazione di una Roma fatta di valori profondi e di appartenenza, la Roma nostra. Agostino non era solo un calciatore, era un simbolo. Per me, come per tanti altri tifosi della Roma, sarà sempre "Il Capitano". Non importa quanto tempo sia passato e quanto ancora ne passerà, il suo ricordo resterà per sempre legato a quei colori e a quella maglia giallorossa che lui ha indossato e onorato come pochi altri.