Così
caro ai romani il figlio della pecora, che ne hanno fatto nei secoli
cibo prediletto e ingrediente principale di ricette famose. Una parola,
abbacchio, che deriva da "abbacchiare", ossia abbattere. Era
questa, in epoche lontane, la triste sorte che attendeva gli esemplari
che non potevano, per costituzione fisica o per origini, garantire latte
o lana all'allevatore.
L'abbacchio quello vero, il più tenero, quello "da latte",
non deve avere più di 30 giorni di vita e un peso non superiore
ai 4-5 kg. Molte le ricette romane che lo vedono protagonista: a
scottadito, alla cacciatora, al forno, brodettato, fritto panato...
sempre e solo lui: Sua Maestà l'abbacchio, re incontrastato della
tavola nella tradizione romanesca.
Un
posto di riguardo, nella cucina dell'abbacchio, è occupato senz'altro
dalle interiora dell'animale: polmone, cuore e fegato (a cui si possono aggiungere reni, milza e animelle) che danno vita
ad un piatto straordinario: "la coratella".